''Io odiavo Antonio Moresco, però... lo odio ancora''

 ''Le nostre sono le prime generazioni umane a vivere al cospetto di un'estinzione di specie''
(Antonio Moresco, Il grido, 2018)
Antonio Moresco. Tentare una summa di questo autore da me tanto odiato, amato, apprezzato e in definitiva comunque frequentato spesso. Da questo mese è anche 'attore' con il film tratto dal suo romanzo breve La lucina.
Il vero esordio nel mondo conosciuto per Antonio Moresco sono le Lettere a Nessuno, letto dal grande pubblico dopo decenni di tentativi di uscire allo scoperto. Pubblicato alla fine da Einaudi in una nuova edizione nel 2011 contiene, tra le altre cose, anche il resoconto delle peregrinazioni - fallite- per farsi accettare i manoscritti degli altri romanzi. E' l'esordio critico e ribelle di Antonio Moresco - i suoi veri esordi, in ordine cronologico, sono gli Esordi (romanzo, Feltrinelli, 1998), la codirezione di Nazione Indiana, e della rivista anche cartacea Primo Amore (i numeri cartacei si fermarono nel 2012)la raccolta di racconti Clandestinità, dal titolo emblematico, per una casa editrice mantovona e sopratutto l'impegno 'politico' di Repubblica Nomade: un gruppo con l'intento di camminare politicamente nelle zone più ferite d'Europa e d'Italia, da Trieste a Sarajevo (2012), da Mantova a Strasburgo (2013, dove hanno incontrato il presidente Shultz); da questi viaggi (tutt'ora il progetto continua) nascono alcuni libri tra cui Zingari di merda, un reportage. 
Le Lettere a Nessuno hanno una portata diversa, sono un insieme di divagazioni ribellistiche e sotteranee, forse indie ante-litteram, contengono alcuni stralci preparatori degli altri suoi romanzi successivi, alcuni schemi, pensieri che aveva approfondito nell'intervento Che fare? nella rivista Il primo Amore dove attualizzava alcune idee di Marx proponendo una consapevolezza di specie, e quindi un'internazionale di specie. Le idee parevano buone.
A questo esordio Moresco si presenta come un pensatore più che un romanziere, e forse poteva essere un grande pensatore, quando parlava di internazionale di specie e di altre cose.

Antonio Moresco con Gli Esordi mette in scena la sua visione del mondo con la lentezza e minuzia di particolari in un atteggiamento passivo, ma nello stesso tempo come se tentasse una rassicurazione del mondo reale. Questo libro e molti degli altri suoi scritti richiedono un lettore alienato, passivo, ma desideroso di certezze, e di sicurezze minuziose. Questo siamo diventati? Può darsi. La letteratura da sempre cerca una dimensione diversa, staccata dalla realtà, ma che ha nei confronti della realtà dei rapporti: la spiega, ci rassicura nei confronti di essa. La rassicurazione, qui portata agli estremi, è sempre presente nella letteratura, essendo un testo finito, che racchiuderà sempre e solo una parte del mondo reale, il quale non può essere, per definizione, messo interamente su una pagina.
Ciò che pare impoverire Gli esordi di Antonio Moresco è un'assenza di una qualche fede e lo sprofondamento in una celebrazione degli atti minimi. Viviamo in un modo arido? Sì, da questo punto di vista. Ma, preso atto di questo, che fare?
Moresco, anche andando avanti nella trilogia non arida di migliaia di pagine, con I canti del caos e poi Gli increati, non accenna a risolvere questo problema, ma mostra nuove peregrinazioni, che si tratti come negli Esordi di un monastero, un contesto politico; nei Canti del Caos di un mondo astratto e pornografico e negli Increati di un modo senza luogo e tempo, dove si racconta in modo fantastico la presenza di non morti come allegoria della realtà (compare una metropolitana ma i dati reali sono davvero pochi e rarefatti).
Non trovo niente di male (preterizione per dire il contrario) in questa descrizione del Caos, dell'aridità, ma questo non dà una chiave di lettura del futuro, piuttosto mostra una realtà caotica e arida per la quale non c'è bisogno di fantasia - già la conosciamo. Utile descriverla, come già hanno fatto molti prima di lui e meglio (Joyce) e più brevemente di lui (Kafka per esempio), ma poi che fare?
Lì sta il punto, e pensare, che, paradossalmente Moresco aveva intitolato proprio 'che fare?' un suo intervento sulla rivista Il primo amore, e molte divagazioni delle Lettere a nessuno, il suo primo libro pubblicato ed era saggistico, sembravano far presagire un approfondimento del caos, la delineazione anche di una parte costruens, oltre quella destruens, dei suoi romanzi. Che questa debba arrivare?
Antonio Moresco la sua parte costruens però bisogna riconoscerglielo l'ha fatta abbondantemente e la continua a fare: si tratta dei gruppi che camminano 'politicamente' l'Italia da nord a sud per scoprire i punti feriti ma innovativi, colpiti che si sono risollevati nel paese (così è nato il progetto Repubblica nomade); Moresco ha anche girato l'Europa alla ricerca di stimoli simili come sta a testimoniare Zingari di merda (Effigie edizioni): il primo è un reportage-riflessione sulla vita incontrata presso gli zingari dell'Asia occidentale.
Il nuovo libro-pamphlet Il grido (2018) - tra l'altro questo mese è doppietta con Il grido di Luciano Funetta, insomma tutti a gridare?- va però sull'onda del pressapochismo lanciandosi in analisi apocalittiche su temi che non dovrebbero essere oggetto di letteratura, o dovrebbero essere espressi con dati alla mano. Siamo già abbastanza decostruiti, anche come tema filosofico la decostruzione è un tema del passato; eppure Moresco è definito come il miglior scrittore italiano vivente.
Ma l'evento più atteso quest'anno, per quanta riguarda Moresco, è l'uscita di un film con una casa di produzione indipendente del film tratto dal suo libro omonimo la Lucina, che vedrà lo stesso Antonio Moresco recitare nei panni del suo protagonista.


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